giovedì 10 gennaio 2013

la necessità curativa del capro espiatorio






La necessità del capro espiatorio sembra essere comune e trasversale ad ogni società affacciatasi  lungo l'arco della storia. Quando una comunità di persone accumula una quantità enorme di "negatività", individua generalmente  un soggetto o un gruppo di individui, introiettando loro tutto il male della comunità. Quindi sembrerebbe essere, per certi versi, una funzione positiva per il bene di tutta una circoscritta popolazione. Ovviamente non per coloro oggetto di tali attenzioni il quale generalmente sono individui che hanno ben poco a che fare con questi sentimenti o con tali "colpe". Un comportamento così arcaico sembra sopravvivere anche ai giorni nostri, nell'epoca degli auto-proclamatisi "civilizzati". E' molto comune infatti proiettare sugli altri, sui diversi, sul vicino, sulla nazione confinante, i propri mali pur di non vederli materializzare dentro noi stessi. Questo atteggiamento è perfettamente comprensibile, in quanto un eccessivo avvicinamento al male potrebbe alla lunga disintegrare la nostra immagine formatasi a fatica nel tempo. 

Hans Jonas afferma:  "Concedendo all'uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua onnipotenza" ossia, per amore del uomo, Dio stesso ha rinunciato a parte del suo potere. Quindi solo attraverso il male l'uomo può redimersi e scegliere liberamente il bene per se stesso. Il bene e il male perciò sono presenti dentro noi ma il cuore dell'uomo anela alle altezze immaginifiche e benefiche del bene. Come suggerisce Jung "Ci sforziamo di raggiungere il buono e il bello, ma al tempo stesso afferriamo anche il malvagio e il brutto, poiché nel pleroma essi formano un tutt'uno col buono e col bello. Se invece restiamo fedeli alla nostra essenza, cioè alla differenziazione, allora ci differenziamo dal buono e dal bello, e perciò anche dal malvagio e dal brutto, e non cadiamo nel pleroma, ossia nel nulla e nel dissolvimento". (Libro Rosso).


Hieronymus Bosch



 Per moltissime popolazioni arretrate del passato considerate selvagge, questa necessità di esperire il male era ritualizzata in cerimonie collettive, dove tale forza, veniva espressa sotto forma simbolica, artistica, con danze e balli. In questo modo liberavano in modo catartico questa funesta energia per ricongiungersi al proprio sé integrato.

Oggi nell'epoca della razionalità imperante, questo mondo sottostante sembrerebbe  agire comunque, al di là della nostra volontà. Agisce in quanto forza presente nell'uomo forza che, se non sublimata, può creare e talvolta crea effetti catastrofici. Invero, se questa energia non viene colta, compresa e persino amata, rischia di distorcersi, donandoci ( si fa per dire) aggressività deformate e, paradossalmente, più irrazionali. Tale forma di energia, a mio avviso, pretende (visto il poco controllo che su di esse abbiamo) di affiorare alla luce, attraverso sintomi fisici o mentali, scoppi d'ira,  ossessioni e depressioni. Queste manifestazioni  erompono,   emergono nella nostra coscienza, fissandoci in un dato contesto problematico, inducendoci a ripensarlo come prospettiva di nuovi scenari. Tuttavia non è un caso che siamo così attirati dal male: quando succede un incidente automobilistico sarà capitato a chiunque di osservare schiere di macchine fermarsi nel luogo dell'accaduto. Per molti di noi osservare il male in una forma così indiretta può essere paradossalmente terapeutico. E' insomma un modo per osservare qualcosa che la società ossessivamente sicura (la sicurezza come spot elettorale!!) di oggi ha completamente eliminato. Nella prospettiva Junghiana questo insieme di problemi sono, se riconosciuti, un importate momento e occasione di libertà in quanto, se non si offrono a se stessi semplici risposte falsamente rassicuranti, possono diventare occasioni di crescita spirituale e psicologica (Jung, Risposta a Giobbe). 
E' da sottolineare  l'importanza della accortezza nel manovrare certe forze. In sostanza bisogna essere abbastanza preparati quando liberiamo certe forze inconsce, in quanto possono portare a liberare energie molto potenti, di difficile gestione.
In sostanza riconoscere il male può essere un modo per differenziarsi da esso, per sublimarlo attraverso un percorso "artistico" non più appannaggio di chi in questa etichetta si loda e si  lascia lodare, ma dell'essere umano, creatore di "opere", emanazione del suo amorale e potente  mondo interiore.  Questo processo così tragico e difficile da affrontare, seppur percepito come evento assurdo (1.), può essere una tappa fondamentale del nostro processo esperienziale utile alla partecipazione del mondo creativo dell'uomo.


Bibliografia e approfondimenti

Jung, Libro Rosso, Bollati Boringhieri, Torino
Jung, Risposta a Giobbe, Bollati Boringhieri, Torino
Jonas, lo gnosticismo, SEI, Torino
http://www.sfi.it/archiviosfi/cf/cf6/articoli/sgobba.htm

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