martedì 1 marzo 2011

Come gli insegnanti possono condizionare la riuscita scolastica degli alunni

Si parla spesso della scuola e dei suoi (numerosi) problemi essenzialmente su tematiche di ordine quantitativo, legate perlopiù all'apparato nozionistico, tralasciando tuttavia argomenti di tipo qualitativo come quello comunicativo, relazionionale e motivazionale dell'individuo.
In questo mia disamina dedicherò ampio spazio a come i vari tipi di linguaggio adottati dai docenti possano influenzare (talvolta irrimmediabilmente) il futuro dei discenti.
La comunicazione umana si esprime attraverso due principali canali: il linguaggio verbale e quello non verbale.  Il primo prevede l'utilizzo della parola orale o scritta. Mentre il secondo riguarda più ambiti: una comunicazione paraverbale, ossia ciò che riguarda indirettamente  la voce (tono, volume, ritmo), ma anche le pause, le risate, il silenzio ed altre espressioni sonore (schiarirsi la voce, tamburellare, far suoni);  un linguaggio definito corporeo che riguarda soprattutto le espressioni facciali.
Il linguaggio non verbale sembra veicolare messaggi molto potenti nella percezione altrui,   spesso agendo sull'inconscio.  Watzlawick, della scuola di Palo Alto,  afferma che è impossibile non comunicare, qualora una persona decidesse di stare in silenzio e solo per il fatto di esistere, comunicherebbe comunque la sua volontà di non comunicare ( Watzlawick, Beavin e Jackson, 1971).
Il linguaggio verbale caratterizza l'essere umano ed è un sofisticato mezzo  per esprimere concetti complicati ed astratti. Esso consente di comunicare con immediatezza e permette ad una persona  (vista la sua intenzionalità) di trasmettere i suoi significati agli altri utilizzando un gran numero di nozioni e permettendo una comprensione più profonda . Inoltre ha la prerogativa di poter rappresentare situazioni passate e prospettare uno scenario futuro con relativa facilità.
Il  più grosso limite del linguaggio orale, vista la sua arbitrarietà, è di rischiare una  rappresentazione  della realtà che rischia di essere fittizia, perché potrebbe fornire messaggi incongruenti rispetto  a quelli provenienti dal corpo. Una comunicazione  efficace invece richiede accordo tra le due forme espressive.
Si può tranquillamente affermare che il linguaggio del corpo di una persona possa esprimere talvolta anche il contrario di ciò che dice verbalmente.  Un interlocutore che comunica discrepanza tra i due linguaggi produce segnali negativi che sarebbero da evitare nell'ambito scolastico (Rogers, cit. in Bruzzone D. 2007).
Mediante i segnali analogici (verbali)  definiamo la relazione che abbiamo con un altra persona ed è solo con questa tipologia di comunicazione che possiamo comprendere le varie sfumature delle frasi non interpretabili. Ad esempio se fossero pronunciate da un computer non potremmo capire questo tipo di espressività. Il linguaggio non verbale può rivelare lo stato d'animo, i  sentimenti, ciò che si sta provando in una situazione specifica e vista la sua non intenzionalità,  risulta difficilmente falsificabile.
L'importanza di questo codice è essenziale perché sembra veicolare la gran parte dell'informazione che un soggetto trasmette ai riceventi. 
Infatti secondo le ricerche condotte da Albert  Mehrabian,in una comunicazione interpersonale solo il 7% viene comunicato con la parola, il 38%  è costituito dal para -verbale (tono, timbro cadenza e ritmo) mentre il restante è occupato dal non verbale (gesti, postura, espressioni facciali).
Ovviamente ogni situazione va contestualizzata e in certe occasioni è difficile credere che il messaggio verbale influisca in maniera così poco determinante. Vi sono persone infatti che concentrano la loro attenzione maggiormente sul verbale dando meno importanza agli altri aspetti. (Birkenbihl, 1993).
Nell'importante professione dell'insegnante, troppo spesso non è contemplata la forza comunicativa del linguaggio corporeo e svariate volte non si presta  necessaria attenzione alla  sfera dei messaggi “silenziosi” che giungono ai destinatari. Tali messaggi se non  elaborati consciamente verranno comunque recepiti e interpretati in qualche modo.
Essere consapevoli di questo tipo di comunicazione, permette di rivolgere maggiore attenzione alla totalità dell'espressione consentendo di trasmettere un'immagine coerente tra i due aspetti espressivi.
All'insegnante  viene chiesto di comprendere la complessità del soggetto educativo, la sua ricchezza e l'influenza che  esercita nella percezione della sua realtà. Numerosi studi dimostrano come l'opinione che ha l'insegnante dell'allievo, determini la sua riuscita scolastica. tal riguardo, sono di fondamentale importanza gli studi condotti da Robert Rosenthal che analizza in quale modo un l'insegnante , possa modificare la percezione del sé dell'alunno.
Le persone a contatto con l'ambiente  tendono, per esigenze di economia cognitiva, a formarsi immagini stereotipate di persone, luoghi e oggetti, per  risparmiare spazio nella memoria e recuperare le informazioni necessarie più velocemente.
Questi schemi mentali  hanno quindi l'importante funzione di organizzare il caos nel mondo in cui il soggetto vive. Lo svantaggio di questo ordine mentale risiede nella refrattarietà a modificare questi modelli che agiscono indipendentemente dal soggetto e  richiedono un sforzo consapevole per poterli mutare.
Logicamente l'insegnante non è immune dal percepire il mondo in questo modo tende infatti a crearsi un idea iniziale dei bambini con cui si relaziona e  questa prima impressione condizionerà fatalmente una rappresentazione più esaustiva del soggetto.
 Ad esempio se un bambino appare meno brillante rispetto ai compagni, l'insegnante tenderà ad assegnarli un'etichetta e in futuro, concentrandosi su quegli aspetti che confermino le proprie credenze ogni volta che il bambino si trova in difficoltà, si  creerà un'immagine stereotipata non rispondente ad una realtà oggettiva dell'individuo. Al contrario, tenderà a dare minor importanza alle situazioni in cui il bambino si dimostra competente. Le convinzioni sulle abilità dell'allievo si rifletteranno sul comportamento e conseguentemente sulla comunicazione verbale e non verbale dell'insegnante, che invierà all'allievo  condizionandone il rendimento scolastico.
L'insegnante potrebbe anche crearsi una concezione più positiva di quanto l'alunno meriti  cosicché le sue aspettative saranno improntate a maggior affabilità, calore e interesse. In questo caso il condizionamento che ne deriverebbe sarebbe positivo.
Come abbiamo visto, Rosenthal  definisce questa conseguenza effetto pigmalione ed viene paragonata alla stregua di una profezia che si realizza. Egli la definisce così: “la forza delle  aspettative che nutriamo nei confronti di un altro è tale da poter già di per se sola influenzare il suo comportamento. E' un fenomeno che definiamo avverarsi delle profezia: il concetto che ci facciamo circa le capacità di un individuo talvolta è decisivo per il suo divenire futuro” (Rosenthal, Jacobson, 19991, p.14). Talvolta queste profezie provengono dalla stessa persona.
Poniamo ad esempio il caso di una persona che suppone, per una sensazione o per qualche problema relazionale, di non piacer al prossimo. A causa di questa idea probabilmente si comporterà in modo ostile generando intorno a sé proprio quel disprezzo che si aspettava, fornendosi la prova della sua convinzione. Per lo stesso motivo un individuo che ha un alto senso di sé e per questo si aspetterà di piacere agli altri cercherà ogni convalida positiva per avallare la sua aspettativa.
Tale semplificazione, meramente funzionale a comprendere il concetto, logicamente non si esaurisce in situazioni così schematiche.
E' da tenere in considerazione che la costruzione della realtà è mediata dalle  esperienze personali (diverse per ognuno) che condizionano l'individuo. La mente dell'uomo può essere paragonata a quella di un computer e ogni conoscenza simile viene etichettata formando degli schemi mentali  Come ho avuto modo di spiegare  la formazione dei concetti può avere degli esiti positivi o negativi perché gli oggetti reali del mondo, ordinati in base alla somiglianza ne compromettono una comprensione più esaustiva e specifica. Ciò si esplica logicamente anche nel rapporto con gli altri ed è sintomatico come gli schemi cognitivi interiorizzati diano una valutazione parziale degli individui con cui si entra in contatto.

A metà degli anni '60 Rosenthal e Jacobson, (1991) conducono una serie di esperimenti con classi vere. Il più celebre fu sviluppato in una scuola elementare pubblica americana, l'Oak School, sottoponendo ad un test d'intelligenza la totalità degli alunni. Successivamente i ricercatori, selezionarono in modo casuale i soggetti e  stabilirono arbitrariamente chi fossero quelli più intelligenti, in modo che si potesse prevedere per questi banbini i maggiori progressi. Fecero credere agli insegnanti che i risultati dei test erano altamente attendibili e diedero loro una lista di soggetti che avrebbero dovuto fornire ottime prestazione.
Ebbene dopo un anno i due scienziati tornarono nella scuola e constatarono che i soggetti  indicati dai ricercatori  ebbero effettivamente i migliori risultati seppure fossero  stati scelti a caso, senza tener conto dei test intellettivi.
Il motivo di ciò è da ricondursi nella maggiore attenzione e cura che gli insegnanti riservarono loro. A differenza dell'effetto alone che si basa essenzialmente sulla generalizzazione  di una singola caratteristiche che “illumina” anche le altre, nell'effetto Pigmalione invece la situazione è più complessa e la forza delle aspettative che l'insegnante nutre nei confronti del discente è tale da influenzare il suo comportamento. Tali aspettative si traducono tramite il linguaggio corporeo, la voce e  il sistema d'insegnamento.
Secondo la teoria di Rosenthal le aspettative positive creano un clima socio emotivo più caldo, gli esaminatori  convinti di avere di fronte soggetti  capaci li trattano in maniera amichevole,interessata, dando più feedback, e rinforzi a seguito di risposte positive. Esiste quindi un maggior coinvolgimento per la riuscita di questi soggetti considerati più “interessanti”. Invece coloro che vengono percepiti come meno intelligenti, subiscono esattamente un trattamento opposto alché il docente ha  meno interesse delle sorti dell'allievo e gli assegna minor fiducia.
Rosenthal condusse, per rendere più significativa la sua teoria, anche esperimenti con i topi cercando di dimostrare questo effetto anche sugli animali. Egli assegnò ad alcuni studenti universitari un certo numero d'animali e gli comunicò che alcuni di essi erano più intelligenti e capaci di risolvere problemi. A dimostrazione della teoria,  come nel caso degli insegnanti, gli studenti convinti di seguire topi più abili, agivano sotto l'impulso di questa credenza trattandoli in maniera più calda, interessata e amorevole invece se ritenevano di avere dei ratti meno capaci assumevano una condotta più fredda e disinteressata.
I risultati furono un successo. I topi che subivano l'influsso positivo miglioravano giorno per giorno le loro prestazioni. Infatti correndo in un labirinto, trovavano l'uscita più velocemente e con più sicurezza, mentre i topi “stupidi” ottennero risultati poco considerevoli, addirittura alcuni di loro non si muovevano nemmeno al momento della partenza (Rosenthal, Jacobson, 1999; p.67)
Valutando il comportamento degli studenti si apprese che, convinti di seguire cavie intelligenti, li toccavano delicatamente, gli parlavano favorendo un clima rilassato e  incoraggiante, mentre nell'altro caso i soggetti trattavano i topi con sufficienza oppure li sgridavano in modo aggressivo quando incappavano in qualche errore.
Da ciò si deduce come la valutazione possa influire seriamente non solo per gli esseri umani ma anche per gli animali e ciò sembra avvalorare la tesi, che più del linguaggio verbale, è fondamentale ai fini educativi quello non verbale o paraverbale.
 Rosenthal analizza anche il ruolo degli stereotipi nell'influenza del comportamento altrui che fanno sentire il loro effetto anche nel settore educativo.
Gli stereotipi sono visioni semplificate e schematiche condivise da un certa comunità nei confronti di un altro gruppo sociale e riguardano generalmente la razza, la religione, il sesso, lo status sociale e la condizione economica. I pregiudizi invece sono una degenerazione degli stereotipi ed hanno una connotazione fortemente negativa. Essi sono la tendenza psicologica ad attribuire ad una persona le caratteristiche negative di una data categoria sociale in base a delle credenze personali o quelle della propria cultura di riferimento.
 Il professor Rosenthal ha constatato quanto tali idee precostituite possano rappresentare un ostacolo alla comprensione degli alunni in quanto la persistenza e la  difficile mutabilità,  generano una distorsione valutativa che  compromette decisamente una oggettiva e  variegata comprensione dei soggetti interessati.
Egli analizzò  specialmente le minoranze etniche che in quella scuola erano rappresentate in particolare dai bambini messicani e da quelli provenienti dalle zone più degradate e periferiche della città  dimostrando come questi apparissero  meno intelligenti innanzi agli occhi degli  insegnanti. Gli eventuali successi che potevano conseguire le singole persone di questa categoria,  li faceva percepire ai docenti come maggiormente somiglianti ad un americano. Questo perché nello stereotipo “messicano” erano incluse credenze che escludevano il concetto di “intelligenza” indi per cui doveva per forza  rientrare in una categoria ( “americano”) che non minasse la forza  della credenza. Considerare un altra etnia come meno intelligente  è una dei pregiudizi più comuni e nell'esempio di Rosenthal che riguardava i messicani, i docenti li percepivano molto più simiglianti nei tratti somatici ad  un etnia anglosassone in modo che conservassero la coerenza con il proprio pensiero.

Massimiliano Moresco



Bibliografia

Birkenbihl V. (1993). Segnali del corpo, come interpretare il linguaggio del corpo. Milano. Franco Angeli.

Bruzzone D. (2007). Carl Rogers. La relazione efficace nella psicoterapia e nel lavoro educativo. Roma . Carocci.

Rosenthal R., Jacobson, L. (1991). Pigmalione in classe. Milano, Franco Angeli.

Watzlawick, P. Beaven S. Jackson D.D.. Pragmatica della comunicazione. Studio dei modelli interattivi. Delle patologie e dei paradossi. Roma. Astrolabio.

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