giovedì 26 maggio 2011

La percezione dell'altro: la natura degli stereotipi (4° parte)

Analizzando la figura di Cortes salta subito agli occhi un paradosso. Egli conosce a fondo i Nativi ma, nonostante ciò, non esita a distruggerli. Tale evento è reso ancora più paradossale se, come si evince dagli scritti dei conquistadores e dello stesso Cortes, scopriamo quanta ammirazione traspaia dalle loro parole. Addirittura Cortes non esita a definirli più "raffinati" nelle usanze rispetto agli spagnoli. Egli è sinceramente estasiato dalle opere artigianali degli aztechi, li considera dei grandi artigiani, costruttori ed abili inventori . A differenza di Colombo che percepiva gli "Indiani" come semplici oggetti, Cortes invece crede che essi siano una via di mezzo: sono insomma dei soggetti ridotti al ruolo di produttori di oggetti di cui ne ammira le prestazioni. Egli insomma non riconosce all'azteco lo statuto di soggetto dotato di propria volontà. Cortes parla bene degli indiani ma non parla mai agli indiani. Todorov, giustamente analizza che il solo modo di riconoscere "l'altro" come soggetto è di aprire un dialogo con lui di riconoscere in lui peculiarità uniche e inimitabili ma allo stesso tempo di riconoscerlo come uguale a noi. L'autore bulgaro sottolinea come: " se il comprendere non si accompagna al pieno riconoscimento dell'altro come soggetto, allora questa comprensione rischia di essere utilizzata ai fini dello sfruttamento, del prendere, dove il sapere risulterà subordinata al potere". Uno dei primi difensori degli indiani è stato Las Casas che accusa a più riprese gli spagnoli di aver scambiato gli indiani per delle bestie e di trattarli come schiavi. Egli non è il solo a denunciare questa pratica e proclamare come essi non possano essere ridotti in schiavitù, sostenuto concretamente dai documenti ufficiali della corona spagnola. Egli afferma: "la nostra religione cristiana conviene, ugualmente a tutte le nazioni del mondo, è aperta a tutte nello stesso modo; non togliendo a nessuna le sue libertà e sovranità, non ne mette alcuna in stato di servitù col prestesto di distinguere tra uomini liberi e servi per natura" (Todorov, 1982,p. 197).Lo sbaglio di Las Casas è dedurre ingenuamente, in base al comportamento spesso docile e remissivo, che ogni indiano possa diventare un cristiano grazie alla conoscenza del Cristo. Non tenendo in dovuta considerazione come i nativi, essendo di un'altra cultura (ed avendo altri usi ed altre Dei in cui credere) ben difficilmente avrebbero compreso profondamente il messaggio cristiano, semmai lo avessero accettato. Questa sezione del libro viene chiamata da Todorov "amare" e in effetti l'emblematica figura di Las Casas ama davvero questi popoli e non smette di lodarli e di difenderli. Questa sua passione, osserva Todorov, lo fanno, se possibile, allontanare maggiormente da un reale conoscenza dell'altro. Egli tende difatti a idealizzare gli aztechi in base alle sue proiezioni e ne ignora irrimediabilmente l'identità sostituendola con una (per lui) più accettabile. Non è un caso come il frate domenicano tenda ad usare aggettivi, quali docili, amorevoli, gentili, tralasciando altri aspetti che potrebbero rovinare questa sua visione idilliaca di queste genti. Las Casas in realtà ama gli indiani ma, a differenza di Cortes, non li conosce e si limita a proiettare loro l'immagine ideale ed assimilazionista che si è creato. Tale concezione che tende ad renderli uguali ai popoli europei in realtà non fa altro che allontanarli da una reale comprensione davvero profonda. Ciò che non comprende Las Casas è che, senza instaurare una vera comunicazione con l'altro, difficilmente si riesce a scoprire la reale alterità altrui, unica via probabilmente per cogliere ciò che rende ogni individuo uguale all'altro. -Continua con l'ultima sezione: Conoscere- T. Todorov, La conquista dell'America, Einaudi, 1982, Torino

mercoledì 4 maggio 2011

La percezione dell'altro: la natura degli stereotipi (3° parte),

Scorrendo le pagine del saggio di Todorov, "La conquista dell'America", un altra figura emblematica che emerge dopo Cristoforo Colombo è quella di Cortés, il conquistatore celebre per aver sottomesso il più grande popolo sia culturalmente, sia a livello militare, del continente americano. Un impresa che sembrava impossibile vista l'esiguità numerica degli uomini che affiancavano Cortés nelle sue battaglie.Si parlava infatti di poche centinaia di uomini ma nonostante ciò lo spagnolo sconfisse l'esercito di Monteczuma per due ragioni particolari. Primo, Cortés mostra un certo interesse per gli indigeni e la loro cultura. Secondo, gli "indiani" non riconoscono assolutamente gli spagnoli e credono di aver di fronte delle creature divine. Così come colombo non riconosce l'alterità estrema degli indigeni, anch'essi non riconosco quella degli europei. Il primo elemento introduce quello che Todorov considera un aspetto fondamentale della successiva conquista e che fornisce il titolo alla seconda sezione del libro: "conquistare". Il conqistador spagnolo possedeva una qualità che per certi versi lo elevavano di rango rispetto ad altri suoi precedessori (e che probabilmente fece anche scuola in futuro) egli non era intenzionato a prendere (o comunque non esclusivamente) ma a comprendere l'altro. Questo atteggiamento innovativo è ciò che decreterà con maggior influenza la vittoria, netta e schiacciante, degli europei. Quando arriva nelle nuove terre americane egli non si preoccupa di ricercare l'oro ma di ricercare informazioni sugli indigeni e tale atteggiamento era sostenuto nondimeno dalla fede cristiana. Non è un caso che il primo atto densamente significativo sia di ricercare degli interpreti locali che possano fargli capire con maggior profondità la cultura Azteca. In questo caso emerge una prima grande differenza con Colombo. Il navigatore italiano non si preoccupava assolutamente di capire chi fossero gli indigeni anche perché li percepiva molto più vicino a delle bestie che a degli esseri umani (Diari di bordo, Colombo). Mentre Cortés, all'opposto, sa di aver di fronte persone di una cultura differente, che per certi versi ammira, ma che non esita a distruggere. Una volta compresa la cultura le debolezze, il sistema di credenze e i dissidi interni, riesce a sfruttare ogni singola situazione a proprio vantaggio infliggendo colpi mortali nelle difese del nemico. Ad esempio, conoscendo le credenze azteche che lo dipingevano come la probabile incarnazione di Quetzalcoatl, il Dio serpente, non fa nulla per dissimulare questa convinzione agevolandosi non poco la futura vittoria. Il secondo elemento da tenere in considerazione è il totale misconoscimento degli americani nei confronti dei nuovi arrivati. Di fatto questi popoli non avevano mai visto persone con vestiti e dotate di armi così diverse dalle loro. Questi particolari unito al complesso sistema di credenze Azteche fanno maturare un particolare atteggiamento per certi versi remissivo e, perlomeno inizialmente, paralizzante. Questa incapacità di riconoscere l'identità umana degli altri, come uguali e diversi allo stesso tempo, sembra essere determinante. La prima reazione degli Aztechi che riferirono a Monteczuma all'arrivo degli stranieri è esemplicativa: " Dobbiamo dirgli ciò che abbiamo veduto, ed è terrificante: nulla di simile è mai stato visto" ( Codice Fiorentino, Sahagùn). Con uomini così diversi e mai visti prima gli americani ricorrono ben presto nel scambiarli con degli Dei. Un altro fattore da tenere in dovuta considerazione è il sistema di credenze Azteco. Difatti la vita comunitaria, le cerimonie e la convivenza civile era regolata dai ciò che era stato tramandato dagli antenati e tutto era previsto in maniera statica e ciclica. A differenza della nostra concezione del tempo lineare e con eventi imprevedibili, quella dei Nativi è circolare : sostanzialmente ogni evento è previsto e ripetibile ogni ciclo.Questo è ciò che viene insegnato ai bambini aztechi diventando dotazione culturale del popolo. Una situazione imprevista come l'arrivo dei conquistadores non può che gettare nel caos questi popoli in quanto avvertirono questo avvenimento come un presagio nefasto e di sicura catastrofe. In effetti gli spagnoli, giocando su questi fattori e conoscendo bene i loro nemici, poterono agevolmente vincere senza subire alcuna perdita. La forza degli europei fu la comunicazione interumana, la capacità di comunicare agevolmente, è di gran lunga il fattore che incise di più nella vittoria dei conquistadores. -Continua- Todorov T., "La conquista dell'America- Il problema dell'altro", Einaudi, 1984, Torino. Sahagùn "Codice Fiorentino", Cit. in Todorov