martedì 22 gennaio 2013

Cedo al sarcasmo

Oh, Finalmente! sono un meccanismo ben oliato
Ah! Dopo immemore  tempo posso trasfigurarmi
Si! Nel ventre sociale attualmente aggregato.

Nella melma acconsento perdermi;
confuso nella folla non più sprezzato
tradisco il mio genio, però
mi abbevero dalla fonte dei pensieri fermi
 inalo strani miasmi
 ma si dai, mi tolgo l'impiccio,
 il branco mi ha accettato
leggermente dissociato
 riabilitato nello spirito del tempo
lampo di modernità.
Ci tengo,
il battito sale scompensato,
 insomma inondato
da confusa emozione.
E' unaffrancarsi dai vermi
striscianti, onesti, prevedibili
e  per questo petulanti.
 In fin dei conti
 preferisco compiacere
il mio dis-simile.
.

Ora, posso finalmente puntare il dito
discriminante della mia umanità.
Ora, sono capace d'intendere e volere
 isolato tra isole ma senza ambiguità.
Ora, mi sollazzo nell'affliggere
forte della mia nuova autorità.
Il mio reparto psichico
si avvale di eminenti ministri:
Sir discrimination, Sir diversfication, Sir fragmentiaton.

Adesso, ostento sarcasmo
per nascondere il conformismo
arma riarsa dell'intimità
non faccio allarmismo
Mi beffo, della dolorosa alterità.

Mah, è forse vero, non sono speciale
Ehi! Te, Es, fai troppo male- meglio non pensare-
 mi posso accovacciare
senza slanci, né picchi, né cadute
solo tra altri desertici soli
in compagnia di automatici automi .










giovedì 10 gennaio 2013

la necessità curativa del capro espiatorio






La necessità del capro espiatorio sembra essere comune e trasversale ad ogni società affacciatasi  lungo l'arco della storia. Quando una comunità di persone accumula una quantità enorme di "negatività", individua generalmente  un soggetto o un gruppo di individui, introiettando loro tutto il male della comunità. Quindi sembrerebbe essere, per certi versi, una funzione positiva per il bene di tutta una circoscritta popolazione. Ovviamente non per coloro oggetto di tali attenzioni il quale generalmente sono individui che hanno ben poco a che fare con questi sentimenti o con tali "colpe". Un comportamento così arcaico sembra sopravvivere anche ai giorni nostri, nell'epoca degli auto-proclamatisi "civilizzati". E' molto comune infatti proiettare sugli altri, sui diversi, sul vicino, sulla nazione confinante, i propri mali pur di non vederli materializzare dentro noi stessi. Questo atteggiamento è perfettamente comprensibile, in quanto un eccessivo avvicinamento al male potrebbe alla lunga disintegrare la nostra immagine formatasi a fatica nel tempo. 

Hans Jonas afferma:  "Concedendo all'uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua onnipotenza" ossia, per amore del uomo, Dio stesso ha rinunciato a parte del suo potere. Quindi solo attraverso il male l'uomo può redimersi e scegliere liberamente il bene per se stesso. Il bene e il male perciò sono presenti dentro noi ma il cuore dell'uomo anela alle altezze immaginifiche e benefiche del bene. Come suggerisce Jung "Ci sforziamo di raggiungere il buono e il bello, ma al tempo stesso afferriamo anche il malvagio e il brutto, poiché nel pleroma essi formano un tutt'uno col buono e col bello. Se invece restiamo fedeli alla nostra essenza, cioè alla differenziazione, allora ci differenziamo dal buono e dal bello, e perciò anche dal malvagio e dal brutto, e non cadiamo nel pleroma, ossia nel nulla e nel dissolvimento". (Libro Rosso).


Hieronymus Bosch



 Per moltissime popolazioni arretrate del passato considerate selvagge, questa necessità di esperire il male era ritualizzata in cerimonie collettive, dove tale forza, veniva espressa sotto forma simbolica, artistica, con danze e balli. In questo modo liberavano in modo catartico questa funesta energia per ricongiungersi al proprio sé integrato.

Oggi nell'epoca della razionalità imperante, questo mondo sottostante sembrerebbe  agire comunque, al di là della nostra volontà. Agisce in quanto forza presente nell'uomo forza che, se non sublimata, può creare e talvolta crea effetti catastrofici. Invero, se questa energia non viene colta, compresa e persino amata, rischia di distorcersi, donandoci ( si fa per dire) aggressività deformate e, paradossalmente, più irrazionali. Tale forma di energia, a mio avviso, pretende (visto il poco controllo che su di esse abbiamo) di affiorare alla luce, attraverso sintomi fisici o mentali, scoppi d'ira,  ossessioni e depressioni. Queste manifestazioni  erompono,   emergono nella nostra coscienza, fissandoci in un dato contesto problematico, inducendoci a ripensarlo come prospettiva di nuovi scenari. Tuttavia non è un caso che siamo così attirati dal male: quando succede un incidente automobilistico sarà capitato a chiunque di osservare schiere di macchine fermarsi nel luogo dell'accaduto. Per molti di noi osservare il male in una forma così indiretta può essere paradossalmente terapeutico. E' insomma un modo per osservare qualcosa che la società ossessivamente sicura (la sicurezza come spot elettorale!!) di oggi ha completamente eliminato. Nella prospettiva Junghiana questo insieme di problemi sono, se riconosciuti, un importate momento e occasione di libertà in quanto, se non si offrono a se stessi semplici risposte falsamente rassicuranti, possono diventare occasioni di crescita spirituale e psicologica (Jung, Risposta a Giobbe). 
E' da sottolineare  l'importanza della accortezza nel manovrare certe forze. In sostanza bisogna essere abbastanza preparati quando liberiamo certe forze inconsce, in quanto possono portare a liberare energie molto potenti, di difficile gestione.
In sostanza riconoscere il male può essere un modo per differenziarsi da esso, per sublimarlo attraverso un percorso "artistico" non più appannaggio di chi in questa etichetta si loda e si  lascia lodare, ma dell'essere umano, creatore di "opere", emanazione del suo amorale e potente  mondo interiore.  Questo processo così tragico e difficile da affrontare, seppur percepito come evento assurdo (1.), può essere una tappa fondamentale del nostro processo esperienziale utile alla partecipazione del mondo creativo dell'uomo.


Bibliografia e approfondimenti

Jung, Libro Rosso, Bollati Boringhieri, Torino
Jung, Risposta a Giobbe, Bollati Boringhieri, Torino
Jonas, lo gnosticismo, SEI, Torino
http://www.sfi.it/archiviosfi/cf/cf6/articoli/sgobba.htm

mercoledì 9 gennaio 2013

Voglio strisciare




Voglio strisciare
per annichilire il mio orgoglio
sfrontato, teso, avvolgente.
Rido in faccia al mio avversario
nel becero duello apparentemente vario
nell'umiliazione, sconfitto oltre il pudore,
leggo sulla sue ciglia a mezzaluna
stordente stupore.
Questo però mi rallegra il cuore
perché una zanzara succhia bramante il mio ego
sono si svuotato, oh mio Dio, ma non mi piego.
Il mio cervello è una riunione di patti scellerati
sconcertanti e sincopati.
 Tutto è prodotto per attingere fatti di brutalità inaudite
Capite?!
I gangli si trasformano in ricettacoli avvolgenti
gaudenti!
Brutali, ottundono ed attendono un elisir di dolce vita
ammansita, da illusioni che scorrono dolci
(pulci saltellanti in connessioni senza pudore)
sinapsi che attendono - sole- il sole
instillano, come scenografie brillanti
i nostri film illusionistici:
fantastici mondi di regni immaginifici.

lunedì 7 gennaio 2013

Ideale e anima



Un uomo che percepisce l'attimo presente non ha bisogno dell'ideale. Questo secondo Nietzsche è il manifestarsi dell'uomo nuovo, di colui il quale non osserva l'ombra del vero della caverna Platonica, ma è egli stesso vero, in quanto è un libero fluire che plasma senza darvi forzatamente un senso. Egli stesso quindi è uno sgorgare, zampilloso, magmatico, di pura creazione. L'uomo crea a prescindere dalla propria volontà e normalmente si manifesta nella libertà dei sogni e nell'arte immaginativa. Però se la volontà si pone in contrasto con la fertilità del creare ne incaglia lo spirito nella fredda gabbia della staticità. L'idealismo, secondo questa visione quindi, si contrappone alla vita, in quanto pone l'essenza dell'uomo nel senso dell'altrove dove regna la staticità e, di conseguenza, dove regna un mondo sicuro. Ma questa certezza poggia su basi traballanti che pongono l'essere umano nella condizione di obbedire all'immagine idealistica. Per questo nella visone di Nietzsche è bene affidarsi alla realtà terrena: gettare quindi le basi sul nero della terra il quale, con la sua impurità, diventa l'unico luogo fertile per la germinazione dei semi dello spirito.
Dei punti in comune li troviamo nel Libro Rosso Di C. G. Jung. Egli sostiene come l'ideale sia importante per l'essere umano finché non si pone in contrasto con la sua vita. E' come un sostegno, una metà agognata che motiva ma va necessariamente  abbandonata qualora (o nel momento in cui) il suo compito si esaurisce. Afferma lo psichiatra, " gli ideali in conformità con la loro natura, sono stati desiderati e pensati, ed esistono in questo senso, solo in questo senso. Ma la loro efficacia è innegabile. Chi pensa di vivere o di poter vivere nella realtà i propri ideali soffre di megalomania e si comporta da pazzo atteggiandosi lui stesso ad ideale: ma l'eroe è caduto. Gli ideali sono mortali per cui è meglio prepararsi alla loro fine [...]l'ideale è uno strumento che possa essere accantonato in ogni momento, una fiaccola sulla strada buia..." (L. R. Jung, p.157). 
L'ideale quindi porta celato il duplice messaggio di rinnovamento e guida nell'oscurità ma pure vi è insito il comando, quel tu devi, che in Nietzsche deve necessariamente essere trasceso, attraverso le celebri tre metamorfosi dello spirito. Il cammello il quale risponde all'imperativo "tu devi", non segue invero la sua volontà, preferisce porgere la sua vita  servizievole, nelle mani altrui in modo da garantirsi un po di sicurezza e cibo senza preoccuparsi d'altro. E' insomma l'allegoria dell'uomo a suo agio nel gregge che vende la propria libertà in cambio di beni rassicuranti. Ma il filosofo Tedesco in tono profetico annuncia la necessità di un cambio di rotta. Dovrà subire una metamorfosi nel "leone", nel colui che ruggisce, è l'io voglio, che pretende la libertà dal drago il quale lo rende schiavo con i suoi comandi. Il drago dalle mille scaglie d'oro ossia la rappresentazioni di tutti i valori, i comportamenti, la morale imperante e la morale stessa, gli atteggiamenti che agendo come costrizioni nell'inconscio inducono l'uomo a vivere una vita non autentica. Nietzsche infatti intravede nell'essere umano  un artista, un creatore, creatore di valori utili alla sua vita, che potenzia la vita stessa. Il simbolo di questa trasformazione è il leone,  un ruggente ribelle che si scaglia contro queste imposizioni che lo pongono in uno stato di sottomissione. Egli, con la sua forza animale distrugge quindi questi modelli di comportamento, questi valori per far spazio all'ultima trasformazione:  "Creare valori nuovi – di ciò il leone non è ancora capace: ma crearsi la libertà per una nuova creazione – di questo è capace la potenza del leone." (Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. ..). 

Insomma, spetta  al leone creare un vuoto dai condizionamenti, un terreno fertile per l'ultima trasformazione, quella del fanciullo. Egli è, diventa puro gioco creativo,l'oltre uomo. Colui che crea per creare e il suo fine si esaurisce nella gioia di manifestare il proprio sé senza scopi, un dire si gioioso alla propria natura senza gravami esterni, con l'innocenza del gioco.
Un pensiero enigmatico ad una lettura superficiale potrebbe sembrare inaccettabile. Jung afferma : " dovremo crescere come un albero che non conosce neppure lui la sua legge. Restiamo invece vincolati alle nostre intenzioni, senza sapere che l'intenzione limita, anzi esclude la vita.Crediamo di poter rischiarare l'oscurità con le intenzioni e in questo modo non cogliamo la luce". (Jung, p.32)
In un altro passo Jung afferma che vivere  non è necessariamente un piacere anzi è un fardello tragico, un percorso periglioso, pieno di insidie, da percorrere come compito dell'anima e per l'anima, come affermerebbe giustamente Hillman.
L'ideale non va abbandonato quindi anzi va sostenuto incoraggiato, capendo e carpendo la sua funzione im-permanente e fugace. E' una sorta di fiaccola che illumina il buio del mare in tempesta ma che, giunti a destinazione, è utile lasciare spegnere, in quanto  la sua benefica fiamma cessa il suo effetto e dovrebbe lasciare spazio  alla luce di altri combustibili più adeguati. 
L'essenza dell'uomo è come il mercurio. Qualcuno ha mai cercato di prendere il mercurio? Sfugge via come una serpe tra i rovi! L'anima dell'uomo non può essere incagliata ma INCANALATA verso mete soffuse e poco chiare ma che lampi e chiarori gettano istantanei bagliori sull'intricato sentiero da percorrere.
Nell'occidente, da Cartesio in poi, si è separata in maniera arbitraria la mente logica da quella creativa, generando, di fatto, le costituenti della scienza moderna. Forse in quel momento era necessario, era quella fiaccola che serviva a percorrere la necessità di una scienza indubbiamente foriera di grandi vantaggi per l'umanità.
 Tra gli altri, proprio Jung si era accorto di questa scissione e in un capitolo del libro rosso avviene un colloquio dello psichiatra(nel sogno) altamente simbolico, quello con Izdubar. Trovo che "l'incontro" di Jung con Izdubar sia uno dei passaggi di maggior pregio del libro per la densità poetica, per l'altezza dei contenuti e per la capacità di utilizzare un linguaggio semplice, pur nella sua complessità . In questo capitolo del Libro (che a mio avviso va letto con moderazione. E' come una medicina: a piccole dosi è benefica in grandi quantità provoca disturbi, almeno personalmente) troviamo una grande intuizione, specialmente per l'epoca, ossia l'incontro tra occidente ed oriente. In tale presentimento Jung credo abbia afferrato, come una tremenda folgorazione, il necessario dialogo e la compenetrazione tra i due sistemi orientati rispettivamente al mondo esteriore e a quello interiore. Tale confronto sta oggi infatti diventando una necessità per l'integrazione dell'essere umano e i tempi sono forse maturi per lo sbocciare di un uomo creatore e generatore di valori nuovi. Valori ed ideali che servano l'uomo e non il contrario: quindi mutabili a seconda delle circostanze e delle esigenze. Tra l'altro la sublime immagine dell'uomo occidentale, il quale rischia la cecità a seguito dell'impatto con la sapienza orientale e (a causa dell'accecante "luce del sol levante") trovo sia una metafora molto potente, in grado di oltrepassare le soglie di una razionalità sempre in agguato. Nel contempo il necessario veleno della scienza occidentale, la stessa razionalità, diventano un velenoso toccasana per il potere immenso che può esercitare sull'uomo la pura e mercuriale energia divina, costretta a vivere in una forma limitata e limitante come il corpo umano, costringendo infatti il "divino" ad accettare la sua tragica ma necessaria "caduta".



Fine 1° parte



Bibliografia

C. G. Jung, Libro Rosso, Bollati borlinghieri, Torino
F. W. Nietzsche, Così Parlò Zarathustra, Adelphi, Milano
J. Hillman, Il codice dell'anima, Adelphi, Milano 



mercoledì 2 gennaio 2013

Lasciati fluire





Tu, io!
Lascia fluire l'anima
in una valle
che sa di nascosto
che scorre udendo
mille canti celestiali
ebbri di vita e terra
inseguendo i mille colori
ornati di forme
soavi, pure, tintinnanti.
Anima,
Lasciati fluire
come fiume dorato,
energia che distilla
e dell'uomo sei scintilla.
Anima,
lasciati corrompere
erompi i terreni più impervi
affonda le radici veloci
nella radura verdeggiante
fino allora boccheggiante,
da noi così distante,
donando i tuoi frutti rotondi e prelibati
talmente perfetti da rifuggire la gravità:
librati come madre terra
una goccia sospesa nell'universo.